Le carceri di Palazzo Pretorio

Con la conquista di Vicopisano da parte dei fiorentini e la creazione del Vicariato di Vicopisano risultò necessario creare un luogo dove poter tenere reclusi coloro che dovevano essere sottoposti alla duplice giurisdizione del Vicario e della sua corte. Il Palazzo Pretorio presentava un’ottima possibilità di ospitare, oltre alla residenza, anche le carceri vicariali. Tali carceri, come molte altre dislocate in tutto il territorio toscano, erano suddivise in due tipologie:

Carceri segrete
Carceri pubbliche
Questa suddivisione rimase in vigore fino al 1846 quando, con l’adozione del nuovo Codice penale Toscano, si pose fine alla suddivisione precedente per adottare la nuova segregazione cellulare.

Nelle carceri segrete, ricavate dalle stanze del secondo piano e da altre zone del palazzo, ad esempio la torre medievale situata sul lato est, venivano detenuti i prigionieri reclusi per reati criminali e che quindi dovevano essere sottoposti ad un processo che prevedeva una certa segretezza.

Nelle carceri pubbliche, situate al piano terra, invece venivano tenuti in custodia coloro i quali avevano compiuto reati riconducibili all’ambito delle competenze civili del vicario. A tali reati solitamente succedeva una pena pecuniaria, come il pignoramento di beni o la vendita dei beni stessi per poter far fronte all’estinzione del debito. Chi non poteva estinguere tale debito veniva detenuto in queste carceri che inizialmente si chiamavano “prigioni del debito”[9]. Le carceri pubbliche erano quindi carceri di pena dove i detenuti rimanevano per tanto tempo incorrendo a tutti disagi connessi ad una reclusione prolungata in un ambiente poco pulito.

Nel caso di Vicopisano fu necessario un lavoro di modifica delle celle segrete le quali vennero rigorosamente tenute separate tra loro al fine di mantenere più segretezza possibile ed evitare che il reo potesse comunicare con altre persone. Le celle pubbliche, che non avevano di questi problemi, erano più che celle vere e proprie delle grandi stanze, con pareti massicce e portanti dell’intero palazzo, con un passaggio libero da una stanza all’altra. Le stanze erano grandi, ma non avevano alcuno spiraglio dal quale potesse passare aria o luce. D’inverno infatti, con il freddo, i prigionieri accendevano un fuoco per scaldarsi, ma non essendoci una canna fumaria la stanza si riempiva immediatamente di fumo rendendovi disagevole la permanenza. Data la scarsa condizione igienica, alla fine del Seicento furono apportate delle modifiche per rendere le stanze più abitabili e furono costruite nuove celle in modo da diminuire il numero di carcerati per ogni cella. Intorno ai primi anni del 700 furono anche costruite delle latrine, fino ad allora assenti. Con le modifiche intercorse con il codice penale del 1845 furono create delle celle all’interno della prigione pubblica, così che ogni carcerato avesse, seppur piccola, una propria stanza, e per far questo furono utilizzate delle ampie e robuste porte dotate di chiavistello e spioncini. Furono costruite nuove finestre e ingrandite quelle già esistenti, rendendo l’aerazione migliore.

La struttura delle carceri del XVIII secolo è rimasta inalterata, sottoposta solo a imbiancature e riparazioni. Quando nel Novecento il palazzo venne suddiviso in varie abitazioni, le prigioni furono utilizzate o come abitazioni o come cantine e pollai.

Seppur presenti fin dal XV secolo, il documento più antico che testimonia la presenza delle carceri vicaresi è ad oggi un “memoriale delle cose pendenti”[10]. I dati di questo memoriale non specificano come fossero articolate e dislocate le celle, in realtà serviva più come documento che testimoniasse come il Vicario di Vicopisano gestisse i propri carcerati. Questo testo rimane però importante dal momento che nessun reperto successivo testimonia la presenza di carceri “pubbliche o private”. Solo negli anni successivi qualche notaio particolarmente scrupoloso, oltre ad annotare il numero dei prigionieri, si adoperò a trascrivere se le celle avevano avuto dei danni e quali fossero.

L’esistenza delle carceri private si deve a documenti di notai redatti successivamente, intorno al 1584,”fu fatta la visita alle prigioni di Vicopisano esistenti nel palazzo … et prima si rivedde la prigione della torre, la prigione dell’inferno e la prigione de’ cani, tutte secrete e di poi quella dei debiti detta la pubblica”[11]; in questo testo vengono descritte le carceri di Palazzo Pretorio, viene esplicitata la dislocazione delle carceri private e di quelle pubbliche.

Molto più copiosi sono i testi e i documenti del Seicento che testimoniano le modifiche fatte alle carceri pubbliche poste al pian terreno e quelle situate invece nell’ultimo piano del palazzo. “sarebbe bene il fare tre inferriate a tre finestre che sono nelle tre segrete a tetto di d.o vic to per di drento acciò i prigionieri o testimoni o inquisti che giornalmente ci si mettono, non possino affacciarsi a finestre et pigliare et dare parola a qui di fuori”[11]. Da questo documento si evince la struttura delle carceri che seguivano la conformazione del palazzo: infatti alle tre finestre ogivali del palazzo, visibili dall’esterno, corrispondevano le rispettive stanze delle celle all’interno.

Una testimonianza eccezionale, una tra le più cospicue in Italia, è data dalla presenza di centinaia di scritte dei prigionieri che hanno vissuto nelle celle. Sono scritte che partono col ‘600 ed arrivano fino all’epoca di chiusura delle stesse, negli anni Venti, durante il fascismo.

Centinaia di graffiti nell’intonaco o di scritte a carbone, col lapis, col fumo di candela, ma anche scritte con una sorta di tempera rossa ottenuta mediante lo sbriciolamento del mattone in acqua, sono la testimonianza diretta dei pensieri e della voglia di libertà e di riscatto di coloro che per i motivi più vari erano reclusi nelle celle: un grido di libertà che ancora adesso echeggia silenzioso all’interno delle stanza buie e che rende viva e coinvolgente una visita a questo importante palazzo.