Vicopisano

vicopisano

Vicopisano sorge su un colle un tempo lambito da fiumi e canali allora navigabili: l’Arno (poi deviato nel 1560), che consentiva il collegamento con Pisa, il mare e Firenze; l’Auser o Serezza, che metteva in comunicazione con il Lago di Bientina (prosciugato a partire dal 1859) e con la Piana di Lucca. Entrambi i fiumi avevano la loro confluenza proprio ai piedi del colle di Vico.

In seguito ad una plurisecolare bonifica (metà del XVI- inizi del XX sec.) tali fiumi e canali sono stati più volte mutati di corso o modificati, ma hanno costituito per secoli uno dei motivi dell’importanza del castello vicarese.

In virtù di tale posizione strategica, da vicus (insediamento aperto, non difeso) l’insediamento diventò già nel X secolo un castellum, ovverosia un insediamento fortificato, per poi divenire, nei sei secoli successivi, una delle roccaforti militari più rilevanti nella zona di Pisa.

Il colle e la zona circostante potrebbero essere già state abitate in epoca etrusca, come parrebbero testimoniare i reperti ceramici databili al V secolo a.C. rinvenuti nella zona. Sporadiche ed episodiche sono le tracce lasciate dalla dominazione Longobarda, che si limitano ad alcuni toponimi tra i quali si può evidenziare il Sala che riecheggia nel nome del primitivo castello di Vico (spesso storpiato come capita coi toponimi nelle documentazioni dell’epoca) che viene infatti citato nei documenti per la prima volta nel 934 come Vicus, ma già nel 975 si parla di un castello di Oserrinsula/Auserissala[6] posto nelle sue immediate vicinanze. Dalla fusione dei due centri, evidentemente assai prossimi, nacque agli albori dell’anno Mille, il Vicus Auserissola che poi successivamente sarà denominato Vico Pisano[7]. Il documento del 975 non è l’atto di fondazione del castello, per cui l’incastellamento di Oserinsula/Auserissala è precedente a questa data ed è da attribuire all’iniziativa di membri di una importante famiglia comitale, gli Obertenghi, che comunque cominciarono a disfarsi dei loro possedimenti in zona alla fine del X sec, cedendo beni e diritti connessi al castello di Auserissala all’Abbazia di San Michele Arcangelo a Marturi. Per la favorevole posizione strategica il castello venne ampliato, modificato, fatto oggetto di attacchi e riconquiste ed ebbe una vita lunghissima – sicuramente uno dei più longevi dell’intera area pisana.

Tra XI e XII secolo Vico, in seguito alla vendita di beni da parte dell’Abate di Marturi, entra a far parte delle proprietà soggette all’autorità feudale della sede vescovile pisana, che ottenne quindi ampi possedimenti nella zona e che quasi sicuramente fu l’artefice dell’ingrandimento del primitivo castello altomedievale (X sec.) di proprietà degli Obertenghi; ma già alla metà del secolo (1161) si notano i primi segni di ingerenza da parte del Comune di Pisa, che si sostituisce al Vescovo nel controllo politico dell’importante luogo. Nel 1165, a riprova del loro definitivo inserimento nell’orbita politica della città, i vicaresi armarono una delle 11 galee che partecipano ad una vittoriosa spedizione di Pisa contro i genovesi in Sardegna.

Ed è in questo periodo che i borghi, cresciuti all’esterno del piccolo castello sommitale, cominciano ad ingrandirsi ed a far assumere all’insediamento i toni e le caratteristiche urbanistiche di una piccola città, con domus in pietra verrucana, torri svettanti e massicci palazzi anch’essi in pietra, con una cinta muraria che, ampliandosi, andò ad abbracciare nel suo circuito anche i borghi (Maggiore e Maccione) sorti esternamente alla prima, ristretta cinta muraria. Vicopisano, ormai fedele alleata di Pisa, nel corso del XII secolo dovette assumere anche una notevole importanza economica, che ebbe un immediato riscontro nella notevole estensione e qualità edilizia dell’abitato medievale, testimonianza diretta di un ceto di abitanti ricchi abbastanza da poter costruire case e palazzi in pietra, sull’esempio di quelli costruiti nello stesso periodo nella città di Pisa.

Anche la pieve altomedievale venne ricostruita ed ampliata in questo periodo, riutilizzando parte delle murature antiche; il suo interno venne però impreziosito con colonne marmoree provenienti dall’area di Ostia antica, frutto della spoliazioni effettuate sì per motivi pratici, ma anche con l’intento consapevole di dotarsi di vestigia della immortale civiltà romana, di cui Pisa ed i suoi centri viciniori si ritenevano degni eredi (Romanitas Pisana).

Altrettanto importante, per la collocazione di Vico in una posizione di rilevanza tra le cittadine che nel XII-XIII secolo gravitavano attorno alla città di Pisa, è il fatto che da questo relativamente piccolo castello siano provenute molte famiglie e personalità di rilievo nella vita culturale dell’epoca: non si può non menzionare la figura di Ruggero da Vicopisano, vescovo di Losanna dal 1178; oppure quella di Domenico Cavalca, religioso e letterato, ivi nato attorno al 1270. Ma anche la presenza di notai e giusperiti vicaresi, assai numerosa nei documenti del XII-XIII secolo, è il segno di una certa agiatezza della classe dirigente locale, da cui provenivano membri che erano in grado di dotarsi dell’istruzione necessaria per l’espletamento di queste importanti professioni.

Nel XIII secolo, quando Pisa inizia a dare segni di discordie interne fra Comune ed Arcivescovo e fra le varie Famiglie nobiliari, preludio al suo declino, anche il contado viene riorganizzato con funzioni difensive, per meglio sopportare la pressione militare da parte di Lucca e soprattutto di Firenze, che si stava affacciando nel Basso Valdarno. Vico Pisano divenne sede nel 1230 di una “Capitania” assumendo un ruolo strategico nell’organizzazione territoriale del contado della Repubblica Pisana, alla cui sorte era oramai legata indissolubilmente.

Una certa situazione di prosperità perdurò sino alla metà del XIII secolo, parallelamente allo sviluppo della città di Pisa, ma quando quest’ultima si trovò contrastata per mare da Genova (che la sconfisse nel 1284 nella Battaglia della Meloria) e per terra da Firenze e Lucca anche i piccoli centri che gravitavano attorno alla città della torre si trovarono al centro di scontri e combattimenti che contribuirono all’impoverimento ed allo spopolamento delle campagne ed alla conseguente crisi produttiva di tutto il territorio.

Testimonianza di questa fase militare della storia vicarese è la costruzione della Rocca Pisana o Vecchia, citata nel 1330 e costruita nella parte bassa del colle, nella zona attualmente occupata dal Municipio, che ne ingloba tre torri e le mura di cortina. È frequentissimo incontrare il nome di Vicopisano nelle cronache militari dal XIV al XVI secolo, il periodo degli eserciti mercenari e delle compagnie militari comandate dai Capitani di Ventura che, a partire proprio dal XIV secolo, insanguinarono con le loro gesta, le campagne pisane e toscane. Anichino Bongardo, il Conte Lando, Giovanni Acuto, Paolo Vitelli sono solo alcuni di questi guerrieri professionisti[8] che incrociarono il loro percorso di guerra con quello di Vicopisano.

E così, dopo quasi cento anni di guerre, battaglie, scontri, saccheggi e pestilenze (1348), che avevano sconvolto, spopolato ed impoverito il contado pisano e la stessa città di Pisa, Vicopisano cadde[9] alla metà di luglio del 1406 in mano a Firenze, che ebbe in questo modo un più facile accesso diretto alla città di Pisa, (caduta nell’ottobre dello stesso anno) ed al suo porto, che cominciava però ad essere ricolmo dei detriti fluviali ed a perdere la sua funzionalità.

Firenze sfruttò a proprio vantaggio la posizione strategica di Vicopisano, ed adottò qui una politica diversa da altri centri della zona (di cui furono smantellate le difese militari): Vico fu rifortificato e per mantenerne un più saldo controllo fu costruita la Rocca del Brunelleschi progettata a partire dal 1434 dal grande architetto Filippo Brunelleschi, che lasciò così un’impronta indelebile nelle fortificazioni vicaresi e nell’aspetto di ampie porzioni del castello, che fu modificato e in parte distrutto per meglio servire agli scopi difensivi previsti dal Brunelleschi.

Salvo brevi periodi (1494-1498 e 1502-1503) Vicopisano rimase in possesso di Firenze, che ne continuò il ruolo amministrativo che già aveva sotto Pisa, rendendolo sede del “Vicariato del Valdarno Inferiore” (poi detto “di Vicopisano” nel XVI secolo) una suddivisione giudiziaria ed amministrativa del territorio pisano, che comprendeva una zona molto vasta e popolosa, che nel XV secolo andava da Ripafratta sino a Pontedera, inglobando buona parte della piana pisana (con l’esclusione di Pisa città) e del versante meridionale del Monte Pisano.

La Rocca del Brunelleschi venne alienata ai primi del 500 alla famiglia Capponi, anche se la sua funzione militare di fortezza è documentata seppur per brevi periodi fino al 1554, al tempo della Guerra di Siena ma con sporadici utilizzi anche nei due decenni successivi.

Il periodo d’oro del borgo era però inesorabilmente passato, in quanto ben presto iniziò la lenta trasformazione che portò Vicopisano ad assumere l’aspetto attuale. Mutata la situazione politica (la formazione del Granducato di Toscana aveva portato alla cessazione delle guerre intestine che avevano segnato il destino e l’importanza di molte fortezze e castelli interni) vennero a terminare tutte le passate condizioni politiche e sociali, e si creò un contesto più periferico e tranquillo che contribuì alla trasformazione dell’antica fortezza in centro agricolo, che mantenne una qualche importanza politica nello scenario locale solo grazie alla presenza del Tribunale Vicariale attivo fino al 1848, quando venne sostituito dalla Pretura circondariale, chiusa definitivamente nel 1924.

Dal punto di vista sociale dobbiamo dire che la situazione politica, oramai più tranquilla e non più costellata da guerre, contribuì a far sviluppare varie attività artigianali, che sicuramente avevano contraddistinto la zona anche nei secoli precedenti e che ne caratterizzeranno anche le produzioni successive. Ovviamente l’agricoltura era l’attività che maggiormente interessava la popolazione, ma soprattutto nel XVI sec., in tutta la zona si rileva una notevole produzione di seta, che doveva servire per le produzioni manifatturiere fiorentine[10], mentre i paesi che sorgevano lungo l’Arno si dedicavano ai trasporti fluviali mediante i Navicelli. Oltre a queste attività generalizzate si assiste ad alcune specializzazioni produttive: mentre San Giovanni alla Vena è già caratterizzata da una attività di lavorazione della ceramica (nel 1587 vengono censite ben 27 fornaci attive), ad Uliveto si documentano attività di estrazione di calcare per farne calcina. Buti (che sino ad oltre la metà dell’Ottocento farà parte del Comune di Vicopisano) era caratterizzato dalla produzione di olio d’oliva, ma era già noto per l’attività di lavorazione delle ceste di castagno[11].

Nel 1580 Francesco I, secondo Granduca di Toscana, introdusse anche nel nostro territorio la coltura del riso, sfruttando a proprio vantaggio la pianura attraversata dai fiumi, fossi e canali del complesso idraulico delle Serezze, che si dispiegava da Vicopisano verso l’attuale Cascine di Buti (allora dette Cascine di Bientina). Proprio nella fattoria delle Cascine, di diretta conduzione granduclae, venne costruito un edificio assai caratteristico, il brillatoio del riso, proprio per assolvere al compito della lavorazione del riso prodotto in loco. La consumazione era quasi totalmente interna alla Toscana, ma sono documentati movimenti di riso esportato verso la Repubblica di Lucca. Questa coltivazione venne poi a cessare nella prima metà dell’Ottocento.

La deviazione dell’Arno dalle mura del castello, promossa da Cosimo de’ Medici e portata a compimento a partire dal 1560 mediante il cosiddetto “Taglio di Montecchio”, ebbe l’intento di migliorare la situazione agricola della zona, ma modificò sostanzialmente l’ambiente allontanando Vicopisano dall’asse viario che si venne man mano a creare sulla linea stradale (e poi ferroviaria) Pontedera-Pisa.

Con il XVI secolo termina dunque la fase in cui Vicopisano si caratterizzava per il suo ruolo militare, economico e di amministrazione della giustizia (quest’ultimo, come già detto, rimarrà ancora in vita, seppur in maniera più modesta, fino al XIX secolo). È infatti da rilevare che la zona, oramai periferica, per tutto il periodo moderno non registrerà avvenimenti di una qualche rilevanza, eccettuati quelli che possono essere registrati per molte altre comunità toscane (carestie durante il XVII sec., peste del 1630-1633[12], ecc.).

Con il passaggio del Granducato di Toscana in mano ai Lorena (1737) comincia una stagione di cambiamenti, specialmente sotto la spinta riformatrice ed “illuminata” di Pietro Leopoldo di Asburgo Lorena (1765-1789), che coinvolgerà anche le piccole comunità periferiche come Vicopisano.

A livello amministrativo con il 1776 si assiste ad una cambiamento radicale, per cui tutte le piccole Comunità locali (che sino ad allora avevano avuto i loro consigli e si erano autogovernate) vengono riunite sotto la Comunità di Vicopisano e governate da un unico Consiglio; questo atto rappresenta la nascita del Comune così come modernamente inteso. Parallelamente si limitano i poteri del Vicario, nel tentativo di razionalizzare le forme di governo locale con la creazione di un ceto dirigenziale più al passo coi tempi. Sempre grazie alla mentalità illuministica e fortemente in anticipo sui tempi del Granduca Pietro Leopoldo, nel 1786 viene abolita in toscana la pena di morte[13] (30 Novembre), e proprio in seguito a tale editto il 22 Febbraio 1787 anche a Vicopisano vengono demolite le forche e gli strumenti di tortura, che sino ad allora avevano fatto mostra di sè all’ingresso del paese.

Assai importante per Vicopisano è la soppressione del Convento dei Francescani (1782), per cui la chiesa (che venne distrutta e sostituita da una villa nel 1838), il convento e la Rocca entrarono in possesso di privati, nonostante il tentativo della Comunità di acquistarli.

Con il 1799 anche la Toscana viene conquistata militarmente dall’esercito napoleonico: cominciò così anche per il nostro territorio un periodo contrastato, fatto di ombre e di luci, in cui si alternano notevoli cambiamenti in positivo (come la creazione di una vera categoria di professionisti dell’amministrazione, le vaccinazioni obbligatorie contro il vaiolo, lo sfruttamento razionale delle colture, l’emanazione di un Codice Civile più rispondente ai tempi moderni) ed altri assai meno positivi come la forte tassazione a cui furono sottoposte le popolazioni per sostenere le guerre, o la forte dipendenza economica della Toscana dalla Francia. La popolazione rurale sopportò l’avvento del nuovo padrone con la consueta rassegnazione, mentre la parte più avanzata (ma minoritaria) della società vicarese, spinta dalle speranza di cambiamento legate alle idee della Rivoluzione Francese, fu ben felice dell’arrivo delle truppe Napoleoniche (nel 1799 fu eretto l’albero della libertà nella piazza di Vicopisano). Ma ben presto agli entusiasmi iniziali subentrò un malcontento, legato soprattutto all’eccessiva tassazione a cui accennavamo, ma anche all’obbligo della coscrizione che colpì soprattutto le classi agrarie più dipendenti dalla forza lavoro dei giovani. Non si registrarono mai però episodi di manifesta ostilità al governo francese.

Dopo la fine del breve periodo napoleonico (1799-1815) sul trono di Toscana ritornarono i Granduchi di Lorena con Ferdinando III che, seppure in forma ridotta, continuarono la stagione di riforme iniziata dal loro avo Pietro Leopoldo, ma per tutta la prima metà dell’800 fu la società in rapido cambiamento a richiederle con urgenza, per cui spesso i Granduchi si trovarono in difficoltà a soddisfare le popolazioni sempre più coscienti della necessità di cambiamento. Non è poi da dimenticare che l’azione del Governo toscano fu avversata dalla crescente idea di un’Italia unita, che si concretizzò con i moti del 1848. che portarono addirittura all’allontanamento del Granduca Leopoldo II da Firenze. Il 3 novembre 1848, nella pieve di Vicopisano, avvennero le prime votazioni per l’Assemblea Legislativa Toscana e per la Costituente Toscana, a cui parteciparono 228 dei maggiori contribuenti (allora il Comune di Vicopisano era territorialmente più grande e comprendeva l’attuale territorio del Comune di Buti e quello di Montemagno).

Nonostante i fallimenti politici del ’48, anche nel territorio vicarese si riscontrarono segnali di cambiamento. Più in generale nella prima metà del secolo iniziò il tramonto dei trasporti fluviali, insidiati dalla migliore viabilità che viene realizzata in quegli anni e soprattutto dalla Ferrovia Leopolda, che attraversò il nostro territorio a partire dal 1847.

Proprio in questo periodo ha definitivamente termine l’opera di bonifica del territorio con il prosciugamento del Padule di Bientina ottenuto mediante la realizzazione della Botte (progettata da Alessandro Manetti e terminata nel 1859), ovverosia il sottopassaggio mediante galleria tra Canale Emissario e Arno. Come già accennato, nel 1863 l’importante centro di Buti venne distaccato da Vicopisano, formando un Comune a parte ed anche il territorio di Montemagno venne assegnato a Calci nel 1887, portando ad una notevole diminuzione della superficie comunale; infine con la definitiva abolizione della Pretura Circondariale, venne a cessare l’ultimo ruolo amministrativo di una certa rilevanza rivestito dal paese di Vicopisano.

La Seconda Guerra Mondiale ha fortunatamente risparmiato il centro storico di Vicopisano, le cui torri, diversamente da altre della zona (ad esempio il campanile medioevale della Chiesa di S. Jacopo in Lupeta di cui furono distrutti con le mine due piani), non furono danneggiate dai tedeschi in ritirata. Il territorio di Vicopisano venne comunque interessato direttamente dal passaggio della guerra a partire dal 18 luglio del ’44 quando, con l’arrivo delle truppe americane nella vicina Pontedera, iniziarono i primi cannoneggiamenti ed i primi morti e feriti. Da quella data in avanti fu un continuo stillicidio di eventi luttuosi, che portarono alla fine dell’emergenza ad un conto totale di oltre 200 morti, di cui più di 80 facenti parte degli oltre 3000 sfollati che si erano rifugiati sul Monte Pisano per sfuggire alla risalita del fronte. Purtroppo nelle ultime concitate fasi della Guerra anche nella zona avvennero uccisioni di civili[14] per rappresaglia da parte delle truppe tedesche: 8 persone vennero fucilate il 19 agosto a Cevoli, tra cui 5 donne. Lo stesso giorno un altro uomo venne fucilato a Uliveto Terme perché ritenuto un partigiano; 3 uomini, il padre e due figli, furono uccise nelle Risaie di Vicopisano il 25 luglio; il 31 luglio in località Ponte di Caprona a Zambra furono fucilati 4 uomini di Uliveto Terme, di cui uno sopravvisse nonostante le numerose ferite. La Liberazione avvenne a partire dalla mattina del 1 settembre 1944, anche se in alcune zone le truppe americane avevano già varcato l’Arno in perlustrazione il giorno precedente; la maggior parte delle persone iniziò a tornare alle proprie abitazioni il 2 settembre. I reparti americani che passarono l’Arno in questa zona erano appartenenti al 370º Reggimento della 92ª Divisione di Fanteria “Buffalo”, caratterizzato dalla presenza di truppe di colore.

È comunque dal dopoguerra che le tradizionali attività artigianali, da secoli presenti nel nostro territorio, hanno assunto una preminenza sull’agricoltura, in linea con quanto avvenuto un po’ in tutta Italia. Si sono quindi create delle zone industriali e produttive distribuite su tutto il territorio comunale.

San Giovanni alla Vena, si specializzò nella lavorazione del legno con la presenza di numerosi mobilifici artigiani mentre iniziò a decadere la produzione di ceramiche artistiche. Ad Uliveto Terme con la fine degli anni ’70 è terminata la secolare attività estrattiva che per secoli ne aveva caratterizzato il paesaggio, ma dagli anni ’80 si è sviluppata l’attività termale, sia con l’imbottigliamento dell’omonima acqua, sia con l’attività termale vera e propria, col Parco Termale.

Vicopisano ha finalmente raggiunto un posto di rilievo tra i centri fortificati toscani a partire dagli anni ’90, con un lungo lavoro di restauro e recupero del Palazzo Pretorio (1994), della viabilità minore (1996), della Rocca del Brunelleschi (1998), del Teatro Verdi (2014), della Torre dell’Orologio (2020) ed infine della Torre del Soccorso (2021). Questo sforzo pluriennale gli è valso il conferimento nel novembre 2021 della Bandiera Arancione da parte del Touring Club Italiano.